Col tempo che vuole
Quando
le prime margheritine fioriscono, quando con la calura ti viene
voglia di una fetta di anguria, quando i melograni si aprono
sgranando i loro denti all'aria, quando...ah la neve col mosto
cotto! allora la mia infanzia mi viene a trovare. Arriva incedendo
piano, sembra che conti i passi, come giocasse a campana e, solo
casualmente, si ritrova davanti alla mia porta. Io, invece, so che é
biricchina, che quando arriva, anche se mi sorprende ogni volta, lei
lo ha deciso molto tempo prima; é solo quel suo modo di procedere
che le fa perdere tempo lungo la strada. Si attarda distratta dalle
cose che incontra, i suoi occhi curiosi sono attratti dalle miriadi
di cose che riescono a percepire mentre mi si avvicina. Io sono
cambiato negli anni e lei, mi studia, cerca di comprendere quale sia
il modo migliore di avvicinarsi a me, il momento più opportuno.
Spesso la trovo seduta sul divano davanti alla televisione,
aspettando che finisca il notiziario, dal quale mi vede preso. Altre
volte mi accorgo che è da tempo seduta dietro di me sulla bici,
mentre io e il piccolo Luca cantiamo a più riprese le canzoni che
inventiamo durante i nostri giri, per le strade della campagna.
Altre volte ancora la trovo quando esco a ritirare la posta che é
indecisa se suonare il campanello o no. Sembra che abbia paura di
entrare e trovarmi impegnato in qualcosa che non mi concede il tempo
per lei. A volte sembra che non osi disturbarmi per il timore
che io sia in casa con qualcuno che lei non conosce, e se io sono
impegnato? se io sto facendo qualcosa di importante? se il bimbo
dorme? e se qualcuno pone delle domande su di noi, cosa rispondere?
Così rimane in surplace davanti al mio uscio senza trovare il
coraggio di entrare. Ma io so, io sento la sua presenza, il suo
respiro, il suo fiato corto e indeciso ed allora poso il libro che
sto leggendo, rimando qualcosa che può attendere e le apro. Mi
accorgo che la mia infanzia teme, che essendo cresciuto, io non
abbia più tanto tempo, per intraprendere con ella, quei viaggi
fantasiosi che ci portano a rovistare nella memoria per ritrovare il
bandolo comune che ci consentirà di riprendere i ricordi di quando
eravamo ancora insieme.Oh si che é possibile che a volte succeda di
non riuscirci; e quando avviene così, ci avvitiamo spesso in
discordanze che non portano a niente. Così, dopo esserci stancati
con tentativi di accordarci su un particolare che non concorda,
lasciamo cadere la discussione ed io torno alle mie incombenze, che
mi riprendono, mentre lei silenziosa si ritira. Spesso però, quelle
volte che i nostri fili combaciano, che festa! si torna bambini
insieme a ricordar ogni cosa! Lo trovo sempre il tempo per lei, non
lo sa che temo che non mi venga più a trovare. Anche solo diradasse
le sue visite, la cosa non potrebbe che farmi scontento. Non sa
quante volte sono lì che chiudo gli occhi e l'aspetto. Oh no! non è
che dormi, é che mi preparo, libero la mia mente affinché lei mi
trovi pronto a prendere avido, quello che mi porta. Ah! quante volte
cerco di indovinare cosa avrà per me questa volta, dove avrà
scovato quello che mi racconterà. Non sa quanto io sia curioso di
capire dove va a rovistare per trovare certe cose che io non ricordo
più. Certe volte mi sorprende con ricordi che non sembrano affatto
miei. Glielo dico, ma lei sorride dolce, ma non cede di un
millimetro, quello che mi porta ogni volta é di certo mio.
-
Sai cosa ti ho portato stavolta?- mi chiede increspando gli occhi,
come se avesse paura che quello che mi dirà, insieme alla gioia, mi
possa rendere triste, più fragile.
-Cosa?-
le chiedo sapendo che sarà per forza qualcosa un pò dolce e un
poco amaro.
-
Il profumo della tua terra arata di fresco.- mi dice mentre cerca di
scorgere di sottecchi che effetto mi fa.
-
e poi ti porto le fuscelle di ricotta fresca di Francesco
l'abruzzese, quello che si accampava alla "Posta" durante
la sua transumanza-
Ah!
l'odore della mia terra arata di fresco...la terra nera che sembrava
fumare come un pane caldo, quando al mattino presto, il vomero della
francese la rigirava sottosopra...potevi scorgere da lontano i vermi
arancione sorpresi e messi a nudo dentro le zolle, ne indovinavo la
presenza mentre seguivo l'aratro che il cavallo tirava allegro. Le
allodole impazzivano nei loro voli verticali verso il sole e quelle
strane discese a picco quasi a schiantarsi a terra, dove invece
scendevano dopo aver individuato dall'alto la loro preda fresca.
Quei vermi duri e lisci che chiamavamo i "puntaletti",
solo per il fatto che li infilavamo nell'amo delle tagliole per
catturare gli uccelli.
-
E poi ti ho portato il temperino rosso, te lo ricordavi?-
-
Cerrrrto! come potrei dimenticare il mio primo temperino col manico
rosso intarsiato di madreperla bianca?- non l'ho mai dimenticato il
mio primo temperino. Non lo usavo mai per paura che le sue piccole
lame, potessero rompersi per quanto erano delicate. Solo a
primavera, quando la corteccia dei salici si staccava quasi da sola
dai rami, io intagliavo i miei bastoni, che mettevo a seccare
all'ombra. Ero fiero dei miei lavori con la lama piccola. Facevo dei
ricami fantasiosi, spesso a spirale, nel ramo dei "lupacchi"
degli olivi. Ne intagliavo profonda la buccia in maniera verticale
ed orizzontale e poi tiravo via i quadratini di pelle dal ramo
verde,ai quali facevo seguire un paio di anelli e poi coriandoli
bianchi e verdi che col tempo scurivano virando al marrone.
Spesso
facciamo delle passeggiate mentre continuiamo a chiacchierare tra
noi. talune volte si ferma incantata davanti a qualcosa che lei non
ha mai visto. Un giorno, mentre eravamo per la strada che lega la
mia borgata al paese, mi ha chiesto di botto:
-
Cos'é questo?- si era fermata sul tombino, e ci stava ficcando la
punta della scarpetta tra le fessure della ghisa.
-
E' un tombino! serve a raccogliere l'acqua piovana.- anticipai
indovinando la sua domanda successiva.
-
e dove la porta? si dove finisce l'acqua che va qua dentro?-
-
Al mare, come sempre.-
Non
mi chiese più niente, muta al mio fianco a camminare.
-
Ti ho portato anche della carta crespa azzurra-
-
Ah si? e che ne dovrei fare?-
Mi
guarda senza rispondere, fa un pò la punta con la bocca come i
bambini che non sanno cosa rispondere.
-...la
mamma ci faceva l'addobbo al filo della corrente e alla lampadina:
la legava ogni tanto, formando come dei palloncini...era il
lampadario che avevamo in casa. Ricordo che alla fine, quasi sulla
lampadina ci faceva una farfalla...mi piaceva, ma d'estate si
attaccavano le mosche e ci lasciavano tanti puntini marroni. Ogni
tanto la sostituivano. Mia sorella maggiore aiutava la mamma a
metterne su una nuova, mentre la piccola giocava coi ritagli e ci
confezionava le vesti alla sua bambola di pezza.-
-
Mi dispiace-
-
Perchè? é un bel ricordo. Mi ha fatto piacere...-
Rifà
la boccuccia a punta, il labbro inferiore più lungo.
-
Piuttosto...- le chiedo -... mi piacerebbe sapere da dove arrivavi
stavolta. mi fa sempre piacere sapere da dove arrivi quando mi vieni a
trovare, lo sai.-
-
Venivo da "Coppe delle rose" da sotto; ai "Casarini",
ricordi?-
-
Perché stanno arando adesso?-
-
Preparano la terra per la semina. Negli uliveti stanno cogliendo le
olive. Tra poco il paese sarà inondato dall'odore dell'olio, dal
rumore dei "trappiti". Vuoi che ti venga a trovare
allora?-
-
Si certo.- le rispondo senza voce. So che mi sente. Chiudo gli occhi
e vedo i "friscoli", i dischi di filo di canapa che
servono a separare e contenere la pasta delle olive molate dalle
pietre che girano nella tramoggia. Ne fanno una sorta di torta sotto
il peso di legno duro e ferro che viene stretto dal perno della vite
senza fine, fino a strizzargli tutto l'olio che contiene. Quando
riapro gli occhi, mi accorgo che la mia infanzia se n'è andata in
silenzio. Tornerà ancora, torna ogni giorno e, spesso, più volte
al giorno.
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Proprio quando il soffione esplode in mille pezzetti e sembra morire, il pappo vola lontano a fecondare nuova vita.
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