giovedì 8 febbraio 2018

la psicologa risponde...

facciamo un discorso per passare un pò di tempo, che ne dite? tanto per parlare un po'...
Avete un figlio di 5 anni e mezzo, sano, pieno di vita, bravo ad imparare e buono di carattere...Non ha paura dell'acqua, nuota volentieri al fiume ed è già stato al mare....parla con proprietà di linguaggio e fa operazioni di sottrazione e addizioni della prima decina, legge qualsiasi numero e parola. é così veloce nello spelling che lo conoscete benissimo, finisce di meravigliarvi ogni volta.comprende bene il rumeno e l'inglese che ha imparato dai cartoni in lingua originale, è curioso verso ogni lingua diversa dalla sua. é un po riservato di carattere, é stato educato a non dar la mano o retta a persone che non conosce. Al nido a tre anni, non hanno voluto che i genitori facessero inserimento, sono stati costretti a lasciarlo dal primo minuto in un ambiente nuovo, con persone sconosciute. La stessa cosa è avvenuta poi a estate ragazzi e all'asilo. 
Il bambino è stato traumatizzato ogni volta da questi abbandoni non comprensibili per lui, ma non ha mai mancato un giorno del nido, di estate ragazzi o dell'asilo.
Il bimbo ha sviluppato una certa diffidenza dagli altri e non li ascolta molto. Gli adulti hanno un approccio che non ammette. Loro comandano e si aspettano un bimbo ubbidiente, lui si aspetta un rapporto più graduale, di rispetto e di amicizia, poi collabora.
 All'ultimo anno di asilo, la psicologa di sostegno comunale e decreta che il bambino ha un certo deficit collaborativo, conta fino a 20 ed ha però un deficit del 6%, non risponde ai suoi canoni di "normalità"...e raccomanda la consultazione di uno neuropsichiatra infantile.
 Quando il padre del bimbo gli telefona per chiederle come può stilare un simile giudizio, che il bimbo fa delle operazioni, parla due lingue e ne comprende bene una terza, legge e scrive e conta le migliaia, la psicologa risponde che lei lo ha interrogato in italiano, non parla altre lingue, non ha potuto accorgersi di quanto sapesse contare poichè lei disponeva solo di una venita di biglie ed il bimbo quelle ha contato, che non gli ha chiesto di leggere o scrivere perchè ciò non è previsto per un bimbo di quell'età...ma ha potuto verificare che lui non sapeva e non voleva ritagliare con le forbici ( la madre del bambino, per il timore che si facesse male, non gli aveva mai cinsentito di prenderle in mano) ma dopo aver letto quel documento sul figlio, ha buttato le sue paure e il figlio taglia come tutti con coltello e forbici. Ma al di la di tutto questo, io trovo molti più limiti nella psicologa che nel bimbo, ma quello che scrivo io che valore può avere? Nullo. Mentre quello che scrive una venditrice di aria fritta, pagata col soldo pubblico e quindi anche con le tasse dei genitori di quei bimbi, che questo ingranaggio mette in moto e che può stritolare, datesi la fragilità delle entità in cui si inserisce. Ho lavorato in Ospedale psichiatrico con la qualifica di infermiere, ho collaborato con Franca Ongaro e Franco Basaglia, psichiatri di cui non si può discutere il valore, ed ho sempre avuto e conservato la mia opinione sulla psicologia e le psicologhe/i: sono, in gran parte, venditori di fiato caldo che producono "malati" da inserire nel circolo per lucrarci sopra e crearsi un nome, una carriera. Nessuno di loro può vantare una casistica di persone guarite dal loro intervento, mentre è lunga la loro lista di nuove malattie inventate che etichettano innocenti e creano agli stessi malcapitati difficoltà importanti per il prosieguo "normale" ma anche speciale della loro individualità. Un esempio che valga per chiarirci la logopedia: solo in alcuni casi viene usata per curare distorsioni reali del linguaggio. Nella maggioranza dei casi, coloro che vengono ritenuti necessari di un simile trattamento sono figli di migranti interni o stranieri, per difetti di fonenitci dovuti al dialetto diverso degli indigeni, o di figli stranieri che a casa ascoltano la nostra lingua parlata in modo distorto dai genitori. Tutti attori però, che comunque parlano almeno una o più lingue di quante ne conoscano insegnanti, psicologhe o assistenti sociali.

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