lunedì 22 luglio 2013

ad Ischitella come ad un amore impossibile.

Il vento
Sulla panca,
sotto l’ala del frate,
sul fianco basso
di piazza D’Aragona,
una radice
raccontava ad un ramo
nato da un tronco
che gli era stato segato;
e gli parlava
come si fa con la persona
che solo ogni tanto
ti tiene per la mano
e mentre parlava,
guardava lontano...
“Un tempo, a Ischitella,
il vento, nella piazza del paese,
indovinava i vicoli e le strade,
andava per scalinate e le curve in discesa,
ad accarezzare le facce more delle donne
mentre guardavano il taglio argenteo del mare;
correva tra gli aranci e i fichi d’India
giocava tra i covoni e coi bambini -
li conosceva tutti ad uno ad uno.
Ora in paese non c’è quasi nessuno -
tanti ragazzi sono andati lontano -
il volto delle mamme è addolorato,
anche se guardano sempre ad oriente,
mentre è per terra che s’è persa la gente.
Ora di sera, il libeccio solitario
sbatte contro i muri delle case,
sembra Taragnola che s’è ubriacato
e non trova più la vecchia strada.
Torna rufolando sui suoi passi,
scuote i vecchi infissi e le stagnere;
ha perso il fluido che in quelle sere
lo faceva scorrere dolce tra menai e arcate.
Sconvolto, ora cerca la compagnia
di quelli che s’attardavano sulla piazza
e aspettavano l’alba al Belvedere;
lui gli prendeva dalla bocca le parole
e le portava per ogni vicolo dormiente,
come una ninna ai sogni della gente.
All’alba, trascinava per le vie
effluvi di profumi d’erbe di prato,
d’aranci e di mandorli in fiore;
d’origano e d’erba cipollina,
la polvere della trebbia sul sagrato.
A volte se ne va, sta via dei giorni,
sembra lo faccia sperando nei ritorni
di quelli con cui giocava un tempo
vana speranza che viene sempre frustrata;
allora s’infuria e grida per le strade,
sbatte sui muri, chiude le finestre,
fischia tra i lupini e le ginestre,
scuote il cappero in fiore ed il carrubo,
s’avvita disperato su se stesso,
agita le onde giù all’Uria,
urla il suo dolore all’Annunziata,
poi, dopo un giro che ha increspato il lago,
ulula al buio da solo abbandonato
e come un lupo, nell’Umbra si rintana…”
La vecchia radice
abbraccia il suo fuscello,
lo stringe a sé…
“Quando tu andrai via,
il vento griderà, farà un macello,
io perderò la gioia che ho nel cuore:
quando le foglie cadono e resta sola
l’antica radice, perde la sua forza
ferma il volo, poi, secca e muore...”
Il bimbo guarda il nonno,
e, controluce,
nota che negli occhi
ha due perle accese,
prendendogli una mano
tra le sue, dice:
“A volte -
gli arbusti s’attaccano alla radice,
diventano alberi in paese
e gli fanno da cornice, lungo il viale.”
“Quando succede -
il vecchio s’incammina -
il vento gioca felice per le contrade...”
entra nei vicoli a budello
il piccolo rincorre
“...solleva la rena allegro alla marina…”
il nonno si nasconde
alla Portella
“…visita la chiesa e il santissimo crocefisso…”
il bimbo lo cerca
in un anfratto
“…gioca sull’acqua tra Varano e Capoiale…”
lo cerca
tra il basilico e un roseto
“…scuote i papaveri e le spighe del grano,
poi... si cheta verso sera, a poco a poco…”
Due piccole mani
rincorrono la voce
lungo le scale e tra i terrazzi -
in un eterno gioco.

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Proprio quando il soffione esplode in mille pezzetti e sembra morire, il pappo vola lontano a fecondare nuova vita.

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