Scuola di lingue
C’è una tale varietà di persone sul mio bus, che solo a guardarli il mio cervello si eccita, gira a mille ed emette un sibilo tipo quello che si sente quando un compat-disk parte nel suo lettore. Il solo pensiero di avere vicino gente che è nata a tre, quattro e a volte molto di più di cinquemila chilometri di distanza dall’Italia mi fa sciogliere in un brodo di giuggiole.
Cosa ci può essere di meglio per uno che, non volendo andare in giro per il mondo a conoscere luoghi e persone, tradizioni e culture, ha l’opportunità di vedersele arrivare praticamente a casa sua, come avesse ordinata una pizza?
È il massimo ve lo dico io!
Così visto che quando salgono sul mio bus sono praticamente nelle mie mani, io ho colto l’occasione al volo per trarne un qualche vantaggio: in cambio delle informazioni che mi chiedono, mi devono delle risposte alle mie domande. Qualcuno di loro si presta volentieri al gioco. Molto disponibili sono ad esempio gli africani, sempre molto contenuti, ma non chiusi, i neri sono dei buoni compagni di viaggio. Più sospettosi e guardinghi sono stati all’inizio quelli che arrivavano dai paesi dell’est.
Quando capivi che uno era romeno e gli chiedevi di dove sei, lui ti diceva: “ ..della Romania..” e se tu continuavi “..si lo so….ma di dove...quale città? “ lui si chiudeva a riccio e se insistevi “...allora, mi dici di che città sei?..” a occhi bassi lui ti chiedeva sospettoso: “ ..perché lo vuoi sapere?..” ho capito col tempo che cinquanta anni di polizia segreta e di minaccia di campi in Siberia avevano ridotto al lumicino l’espansività e la fiducia negli altri dei popoli del blocco sovietico. Ma con il tempo, facendo esperienza e, soprattutto, imparando qualche parola nella loro lingua, diventava più facile farli sciogliere e parlare con loro.
Così potevo capire cose che non avrei mai saputo, ad esempio la loro difficoltà di potermi dire qual’era il loro piatto nazionale. “ Gli italiani mangiamo la pasta” dicevo io, “ e per voi, qual è il piatto nazionale? ”
Gli africani avevano un sorriso ed un’aria spersa a questa domanda, mentre i “sovietici” stringevano le labbra e si chiudevano in un silenzio incattivito da questa mia curiosità.
Col tempo capii che questi poveretti non avevano cibo quotidiano, altro che cucina nazionale e mi sentii tanto stupido. Da parte dei neri c’era però qualcosa di più: la difficoltà di intendere “ nazione “, non avevano un senso preciso della loro nazione e, quando dopo un certo periodo si scaltrivano, rispondevano a “nazione “ dandole un senso di tribù, città o comunità che ognuno di loro intendeva come sua e, quindi, sua “ nazione”. Dicevo buongiorno in italiano e chiedevo che mi dicessero buongiorno nella loro lingua.
Così ho imparato un pò di spagnolo dai peruviani, un poco di portoghese dai brasiliani, scampoli di francese dai marocchini e da sporadici turisti o parenti di italiani emigrati, il rumeno dai rumeni ed un po’ d’inglese da tutti quelli che non potendo farsi capire in nessun modo si ricorre alla lingua più diffusa al mondo.
Siamo arrivati al punto che sul bus al mattino io dicevo una parola in italiano ed ognuno di loro la ripeteva nella loro lingua.
Vi lascio immaginare le risate, la vitalità e la socialità che il mio bus raggiungeva certi giorni.
Più erano eterogenei i viaggiatori, più l’interesse e lo spasso, era assicurato.
Un mattino avemmo la fortuna di avere tra le infermiere rumene, i muratori marocchini e tanti altri, un signore con gli occhi a mandorla, io lo arpionai entusiasta e lo feci accomodare sul sedile capofila più vicino all’autista.
Subito gli dissi: “ qui noi facciamo scuola di lingua, per cui io ti dico buongiorno in italiano e tu ce lo dici in cinese e gli altri ognuno nella loro lingua, d’accordo? “
“ Va bene “ rispose “ ma io non so come si dice.”
Io dissi meravigliato “ non sai cosa vuol dire buongiorno? “
“ No, non so come dirlo in cinese! “
“ Che cavolo, come fai a non saperci dire come si dice buongiorno in cinese, non ho mai visto un cinese che non sappia parlare la sua lingua! “
“Ma io non sono cinese…” disse sorridente l’uomo con gli occhi a mandorla “..sono giapponese! “
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Proprio quando il soffione esplode in mille pezzetti e sembra morire, il pappo vola lontano a fecondare nuova vita.
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