martedì 29 maggio 2012

Tremate ma non fuggite....è di scena Il terremoto!

"Tremare ma non fuggire...davanti ad un terremoto è inutile scappare."
Era la rassegnazione con la quale i nostri vecchi, i nostri vecchi antichi,(come dice il mio amico Mimmo Di Franco) saggiamente si arrendevano ad una cosa con la quale non sapevano come fare i conti. In realtà era molto di più: era l'inuttelabilità del Destino, la morte ti troverà dovunque (quando sarà la tua ora) è quindi inutile scappare. Lo cantavano molti nostri poeti e cantori (tra) passati e moderni; l'amato De Andrè" ...la morte verrà all'improvviso, avrà il tuo sguardo i tuoi occhi, vestita d'un velo bianco e si siederà al tuo fianco...", il prof. Vecchioni  in Samarcanda "...ti aspettavo qui per oggi a Samarcanda eri lontanissimo due giorni fa...". Il DESTINOsi chiude ovunque (quand'è la tua ora...) quindi...a che servirebbe scappare e... dove? Potresti evitare il crollo di una casa addosso, ma se ti si apre la terra sotto i piedi...Una tegola in testa, un albero che cade, un cane idrofobo; se arriva la tua ora, la Nera Signora ti prenderà comunque. Quindi dove corri? Molti dicono che noi non abbiamo imparato, a differenza dei giapponesi e di altri popoli...a convivere con la natura. Io credo che noi non abbiamo imparato a convivere con una idea che continuiamo a rigettare con forza: la morte. Ci rifiutiamo di comprendere che alla nascita, ognuno di noi ha un filo rosso legato al mignolo che, senza sapere quand'è lungo o corto il proprio, ci porta inevitabilmente alla fine nelle sue braccia. In Emilia Romagna assistiamo ad un terremoto post-moderno che ci capovolge i nostri convincimenti secondo cui le case antiche, le costruzioni di una volta, fossero costruite meglio e per questo fossero più resistenti a questo tipo di eventi, delle costruzioni moderne di cemento armato. Muri spessi di pietre e terra, travi di legno e mattoni, assorbivano meglio le onde d'urto e le smorzavano prima che facessero vibrare l'intera struttura demolendola.  I geologi televisivi post tecnologici continuano a dirci che dovremmo costruire secondo criteri antisismici moderni in cui loro ci indicano e ci insegnano. Ma poi finisce che in Giappone  come in Perù, in Cina o nella pianura padana, il cemento armato o le palafitte cedono al sisma e che ognuno versa il suo contributo di vittime alla morte. Oggi in Emilia vediamo  che le chiese e i castelli millenari, si sfarinano come sabbia e cadono. I capannoni industriali di cemento armato, si disfano come se fossero costruiti coi biscotti e uccidono. Sembra che non ci sia scampo per nessuno, però...Che fatto strano: tra i terremotati non c'è mai una vittima illustre! Mai un politico famoso, un artista, neppure una velina. In televisione ci mostrano gli sfollati, nel quartiere bene di Modena; ci sono viali alberati e giardini privati puliti, per terra neppure una carta, un fiorire di tende e gazebo piantati davanti a ville perfettamente in piedi, con le signore e i bambini che giocano come fossero al campeggio. Camper attrezzati e soluzioni estive vacanziere, per fugare la paura del tremare della terra e delle case. Più che sfollati sembrano (non lo sono?)  gente che ha una altra struttura mentale per mettere in discussione il terremoto: trema quando vuoi di qua non ci muoviamo. Paura sì dell'earthquake, ma anche di abbandonare agli sciacalli le loro ricche abitazioni. Montano la guardia (giustamente intendiamoci) ai loro averi. La pelle è pelle certo, ma anche le pellicce e l'argenteria insomma. Nelle tendopoli della protezione civile invece ci sono gli anziani, tante donne, tanti immigrati. Perfino gli italiani intervistati sono immigrati, nelle loro voci sono forti ancora oggi, dopo una vita di emigrazione, le inflessioni dialettali. Tanti diseredati di altri mondi che piangono i loro morti, la disperazione di aver perso quel tutto, parente stretto di quel poco che avevano, coscienti che per loro, dopo il terremoto, non ci sarà nessun aiuto. Perchè loro non erano proprietari di niente. Gente che ha perso quel lavoro che aveva nelle porcilaie e aziende rase al suolo e che ha perso la vita, spinta dalla necessità, ma anche da proprietari preoccupati più del proprio guadagno che del rispetto della vita altrui, a lavorare in un posto così fragile e caduco.
Ancora una volta gli emigranti pagano al destino un prezzo diverso di chi ha radici ben salde. Ancora una volta loro, cittadini di due comuni e due Paesi, si scoprono cittadini senza terra.

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Proprio quando il soffione esplode in mille pezzetti e sembra morire, il pappo vola lontano a fecondare nuova vita.

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