mercoledì 27 marzo 2013

L'impasse


impasse


impasse 〈ẽpàs〉 s. f., fr. [der. di passer «passare»; voce proposta e adottata da Voltaire nel 1761 in sostituzione di cul-de-sac]. – 1. Vicolo cieco, strada senza uscita; usato in Italia solo in senso fig.: trovarsi in una i., in una situazione difficile, da cui non si sa come uscire (anche di trattative, contrattazioni, tentativi d’accordo, spec. in campo politico o sindacale, rimasti bloccati da qualche difficoltà e di cui non si preveda una facile o prossima soluzione).
Basta questa parola a far comprendere, agli italiani, dove siamo finiti? La sua esplicazione del vocabolario ci regala perfino la chicca di conoscere il nome illustre del suo famoso autore. Non é una parola d'uso comune e quotidiano, ma credo che spieghi, oggi, meglio di qualsiasi altra, dove ci troviamo. Siamo politicamente, economicamente, ma lo siamo sopratutto come persone, in un cul de sac dal quale non sappiamo come uscirne, come usciremo. Non siamo un popolo morto, abbiamo la netta sensazione che le nostre gambe sono forti, ed anche se hanno fatto un lunghissimo cammino, possono portarci ancora lontano, si muovono ancora come se stessero andando, ma non sanno da quale parte. La testa é disconnessa, non arrivano indicazioni credibili per una direzione da seguire e così, continuiamo come un plotone disciplinato, a segnare il passo sul posto. Di fronte ad un muro che non si sposterà, nè cadrà da solo. Siamo in un culo di sacco e chi ci dovrebbe portare fuori sono le smarrite persone che ci hanno portato dentro. Gente alle quali avevamo affidato le nostre vite, fiduciosi che ci avrebbero condotto trionfanti nella direzione opposta nella quale erano finite la Greci e la Spagna.  Smarrita la ragione dei politici, il nostro condottiero indefesso, ci ha affidato ad un manipolo di tecnici che avrebbero trovato il modo di sciogliere il nodo fatto dall'interno che ci teneva in quel cul de sac.  Oh oh! I Tecnici si misero a menar botte nel sacco, in tutte le direzioni, hanno alzato un gran polverone e un fumo fastidioso e soffocante. Gridavano agitati:" di quà di qua!" e subito dopo : "... di là, abbiam detto di là!" e mentre gridavano e noi correvamo composti a seguire fiduciosi le loro indicazioni, ci toglievano, le poche monetine che ci erano rimaste nelle tasche, ma la ripartenza, pur annunciata sempre come in vista, non si riusciva proprio a farla. Ad un certo punto, un tecnico, trovò nelle tasche vuote ormai degli italiani, un numero: l'articolo 18. Immediatamente cominciò a gridare: " Ecco di chi è la colpa!... questo numero 18 porta sfiga!...bisogna buttarlo via! ce lo chiedono loro!" Loro??? loro chi??? per un attimo il popolo italiano si smarrì, smettemmo di correre alla rinfusa senza costrutto. Ci girammo verso i tecnici digrignando i denti:" Loro chi?" Un pò in imbarazzo e con la lacrimuccia già che le inumidiva gli occhi, la pulzella del riscatto dell'Italia, la Fornero disse " I nostri amici (e tutori) europei!" I nostri amici europei, erano diventati multiformi  in quel periodo. Venivano chiamati in tanti modi diversi, ma indicati dai nostri Tecnici, come quelli che erano fuori del sacco e che ci indicavano la via per uscirne. I nomi usati per questi nostri "amici" erano patners, interlocutori, concittadini europei e non di rado fratelli d'europa! Ma alla fine erano sempre loro: i tedeschi! In realtà il popolo italiano aveva la netta sensazione che i tedeschi fossero proprio quelli che tenevano il sacco chiuso dall'esterno ed era chiaro che  ci tenessero così da un pezzo.  Almeno da un secolo! Ma ci veniva raccontato che questo Monti, messo a capo del drappello dei Tecnici, avesse un rapporto amorevole con la ...valkiria culona e che questa loro tresca, ci sarebbe venuta utile.Alla fine il numero 18 fu passato, tra la trama della tela di juta, ai tedeschi. Aveva difeso fedelmente i lavoratori italiani per circa mezzo secolo, ma ora gli italiani venivano licenziati  quotidianamente in gran numero, trasmutavano la loro pelle dopo una vita di lavoro, diventavano esodati, cassintegrati, disoccupati, che farsene dell'articolo 18? Quell'articolo avrebbe avuto un senso se fossero restati lavoratori ma che senso aveva ormai per loro? Intanto il tempo della credibilità dei Tecnici si era consumato come una candela e qualcuno tolse le spalle da sotto facendolo cadere nella polvere. "Non sono capaci di risolvere niente! sentenziò un nano! "qui ci vuole altro:IO! Vogliamo le elzioni, e poi...farò un Governo e vi porterò fuori da sacco! vi pagherò il biglietto dei tram, quello del cinema, un weekend alla beauty farm, vi manderò a casa gra-tu-ita-men-te, l'album calciatori del Milan, pane e salsicce per tutti aggratis!" Napolitano, presidente etereo degli italiani disse :"No, tu no! si va elezioni!" e, in un attimo di fuoco sacro come se la molecola di Dio, gli fosse scoppiata in quell'attimo in testa, indice le elzioni in un momento in cui non si sarebbe potuto fare niente: il semestre bianco! Gli italiani andammo al voto, ma di portare sulle spalle ancora quelli che ci avevano chiusi nel sacco proprio non se la sentirono tutti. I Tecnici avevano fallito...il risultato fu una arancia divisa in tre parti quasi uguali, con uno che per premio vinse anche la buccia. A costui, tal Bersani, il vate, affidò un incarico macchiavellico: " Voglio un governo che abbia i numeri grandi!" fottendosene di reclamare delle idee o degli ideali. Valori persi che da sempre aveva enunciato, ai party e nelle ricorrenze,  con frasi importanti ed inutili, sulla colpa dei giovani a non avere ne gli uni nè gli altri. Non disse in che direzione correre a cercarli quei numeri, non gli parlò di qualità politiche o morali, ma di numeri e basta. Dire a qualcuno "sei libero di andare in ogni direzione , equivale a dirgli non serve andare in nessuna. 360 gradi di puntini unici servono solo a far pensare che ogni puntino sia uguale ad un altro. Confuso Bersani cominciò a parlare col vicino di sinistra e poi con quello di destra, poi andò al circolo anziani e confabulò con un gruppo di vecchietti che giocavano a briscola, prima di pranzo si recò in sagrestia a parlare col  il pastore e il suo vice, nel pomeriggio incontrò una delegazione di fedeli che andavano a San Giovanni Rotondo da Padre Pio a chiedere una grazia, affidò loro una prece per il suo tentativo e si recò a casa di Vanna Marchi, ma il sale non si era ancora sciolto. Per giorni cercò inutilmente l'ago perso nel pagliaio, ma i numeri non crescevano. Seguitò a far visite a parenti vicini e lontani,  impastò dei numeri pasquali con lievito e pregò che lievitassero, poi prese il toro per le corna e si sedette sfiduciato sul pagliaio. Saltò come una molla con un urlo spaventoso: aveva trovato l'ago. Grillo gli disse vai a casa, ed accompagnò la frase con una carezza alla pelata del compagno di lungo corso. Una lacrimuccia brillo nell'occhio di Bersani, mentre un solo pensiero lo tormentava:" l'unica volta che nell'uovo avevo trovato il regalo che chiedevo da sempre:il Governo!" L'occhio da cui piangeva era lo stesso della Fornero. Intanto il popolo italiano ha smesso di sperare che qualcuno riuscirà a portarli fuori da quel culo di sacco. Batte il passo sempre più sfiduciato nell'attesa di una indicazione di direzione da seguire. L'impasse continua.

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