Torino, 21 marzo 2009.Primo giorno di primavera.
La Vecchia Signora attraversò l’atrio. Passò tra un gruppo di persone che stavano salutandosi sulle scale.
Nessuno si accorse del suo passaggio, ma l’uomo politico col soprabito lungo scuro, ebbe un colpo di tosse violento e diventò cianotico. L’attacco durò solo un attimo, se ne scusò cogli altri e si girò a guardare il vuoto alle sue spalle, scosse la testa come deluso di non vedere nessuno e riprese la discussione da dove l’aveva interrotta.
L’Austera Signora continuò ad avanzare nel lungo corridoio, in fondo al quale c’erano due donne ed una bambina addette alla biglietteria.
” Cosa ti prende? ” La mamma guardò la piccola preoccupata “ sei diventata pallida come un cencio, stai male?”
La piccola aveva interrotto di colpo il suo fitto chiacchiericcio con il quale stava distraendo le due donne.
La madre ed una amica che tenevano i conti dell’incasso. L’amica stava dicendo che forse i soldi non sarebbero bastati a coprire le spese della cantante fatta venire dalla Moldavia.
Il concerto organizzato per commemorare il poeta Grigore Vieru, scomparso qualche mese prima. La bambina sembrava d’un tratto soffrire d’asma, aveva smesso di respirare e stava sbiancando in viso. Una folata di vento gelido fece rabbrividire il piccolo gruppo all’unisono poi, così com’era venuto, il gelo passò e la bimba riprese il suo allegro gioco, mentre le due donne stavano chiedendosi com’era possibile che uno spiffero cos’ forte e freddo, fosse arrivato in fondo a quel corridoio così lontano dall’ingresso.
La Signora in nero era passata oltre senza indugio, il suo incedere lasciava una scia di disagio addosso a chi la sfiorava, ma lei non dava segno di dare importanza alla cosa.
Gli astanti, non sapevano a cosa attribuire quei momenti di disagio, sembrava che una malignità perfida scatenasse forze letali nascoste, energie scure che in un battito d’ali si manifestavano e sparivano senza spiegazione.Nessuno fece caso che la sequela delle persone che mostravano una sofferenza accidentale a qualcosa, erano disseminate lungo il percorso che dall’ingresso del teatro portava fino in fondo alla sala in cui si stavano riunendo i convenuti.
Un refolo gelido sembrò pervadere la gente nella sala.
“Qualcuno ha aperto una finestra?” Hina parlò nel microfono che stava provando, la domanda era rivolta a tutti e a nessuno. La presentatrice faceva gli onori di casa, bionda e diafana nella sua pelle madreperlacea, rabbrividì un attimo, strinse le braccia intorno al suo elegante vestito forse troppo leggero e cercò di superare quell’attimo dovuto forse all’emozione. Da dove si trovava, la soubrette poteva benissimo vedere che le finestre erano tutte chiuse e che nessuno si era mosso dal proprio posto.
A metà della grande stanza, una donna strabuzzo gli occhi mentre un singulto muto sembrava squarciarle la gola.
“Cosa ti succede ?” l’amica le prese le mani come a sorreggerla “…stai bene?”
L’altra le strinse le mani come a rassicurarla, ma scosse la testa senza rispondere, si piegò su se stessa come in un inchino poi, con un sospiro che sembrava salire dal profondo dell’anima, parve liberarsi di colpo dell’occlusione che la stava strozzando.
“E’ passata, stà tranquilla”
“Madonna, Ludmila,mi hai fatto spaventare, ma che ti è preso?
“ Mi è andata di traverso la saliva, o almeno credo…ora sto bene, stai tranquilla.”
“ Mi hai fatto venire un brivido gelato lungo la schiena.” Le due erano sorelle, in Italia per fare le badanti, potevano incontrarsi solo un paio d’ore alla domenica pomeriggio. Questo rapporto, rado di incontri, aumentava la loro solitudine lontano dal loro paese e dalla famiglia, ognuna era la forza dell’altra e questo aumentava l’apprensione per la salute di entrambe.
“ Sei certa di non covare qualcosa Ana? Siamo ancora a marzo, sembri vestita troppo leggera.”ora era Ludmila a preoccuparsi della sorella, l’aveva vista fremere e sbiancare in volto per un momento.
“Non ho freddo e sto bene non ti preoccupare per me, quello che ho sentito era un brivido di paura.”
“ Madonna santa, ti sei spaventata così?”
“ Ti fossi vista ti saresti spaventata altrettanto.”
“Davvero?” le due sorelle scoppiarono in una salutare risata scaccia paura. Era passata.
La Vecchia Signora le aveva superate e si diresse in fondo alla sala.
Si accomodò sulla prima sedia di plastica blu dell’ultima fila, l’unica completamente ancora vuota.
Davanti al pianoforte, Daria Radu, la cantante venuta dalla Moldova, stava rompendo il ghiaccio con il suo pubblico. L’artista sembrava avere pienamente in mano le emozioni della sua gente e le gestiva con una serena capacità che denunciava il lungo percorso del suo trascorso. Ogni tanto, deliziava le persone convenute ad ascoltarla, con racconti di episodi vissuti con il compianto Grigore Vieru. Il poeta era deceduto prematuramente, in un maledetto incidente, verso la fine di gennaio di quell’anno. La cantante alternava quei ricordi melanconici, con episodi vissuti da poco con un altro poeta suo amico molto famoso: Nicolae Dabija. Dentro i suoi racconti inseriva sempre con maestria, le parole di bimbi che, con la scaltrezza di un furetto a volte, con l’ingenuità propria dei fanciulli altre, facevano scoppiare il pubblico, in gran parte di donne, molte delle quali avevano lasciato i figli al loro paese per fare le badanti in Italia, in una tenera risata generale. La cosa sembrava sortire un effetto benefico scacciando, per un attimo, la loro dolorosa nostalgia. L’artista mostrava di saper interpretare la tensione della sala con padronanza assoluta. Il prologo dello spettacolo stava scivolando piacevolmente verso un buon risultato. La sala, era ormai quasi del tutto piena, solo una fila di poltrone gialle sul lato destro era rimasta del tutto vuota. Era come se il pubblico non le vedesse o avesse stabilito, chissà perché, che quella fila non sarebbe stata usata. Nell’ultima fila, quella tutta azzurra, c’erano due poltroncine vuote, o meglio, in una c’era seduta la Vecchia Signora, ma nessuno la poteva vedere.
Il discorso di Hina Popov e di Daria Radu era sempre folto di riferimenti a Vieru ed alla sua ingiusta e precoce morte. Tutte quelle parole sulla disgraziata dipartita del loro grande poeta,la Signora infondo alla sala, l’aveva ascoltate mostrando un certo imbarazzo.
In fin dei conti i poeti, anche se grandi, muoiono proprio come tutti gli altri, perché tante ciance proprio non lo capiva, anzi, non era proprio con la morte che molti artisti, poeti o altro, trovavano la consacrazione, diventano dei grandi? Avrebbero dovuto allora, parlare della morte con più rispetto! La voce della presentatrice che risuonò in quel momento più alta nella sala, la distrasse dalle sue amareggiate riflessioni, per un attimo aveva dimenticato la soddisfazione provata prima di arrivare al teatro dopo una dura, ma proficua giornata di lavoro, era stata in giro tutto il giorno per strade, cantieri e ospedali, a mietere un faticoso ma buon raccolto. Era proprio per questa soddisfazione che aveva deciso che per quel giorno poteva bastare così ed era andata a teatro, prima di rientrare.
“ Se quelli che stanno ancora fuori si accomodano dentro,noi potremmo cominciare lo spettacolo!” il richiamo della giovane artista moldava risuonò più alto per farlo sentire fino all’entrata e fu subito seguito da uno scalpiccio lungo il corridoio. La richiesta fu tradotta anche in italiano ed un gruppetto di ritardatari si riversò nella sala. Alcuni si accomodarono nei posti riservati della prima fila, mentre un giovane dalla folta capigliatura riccia ed una barba da fariseo piena di boccoli castani, s’incamminò nel corridoio che lo portava verso il fondo del salone.
Lo sguardo incredulo della Vecchia Signora, si trasformò prima in sbigottito e poi in adirato, nel vedere che il barbuto stava mirando dritto alla sua poltrona.
“Ma questo…ma questo…nooo, non ci credo…ma questo giovane mi si butta in braccio… si siede addosso?”
L’ira le stravolse il volto in una furiosa tempesta appena questo avvenne davvero. Il giovane barbuto si abbandonò sulla poltroncina come spalmandosi, allungò le gambe e si concentrò sulle note del pianoforte e la melodiosa voce della cantante. Un fastidio dietro la schiena lo fece piegare un pò in avanti, la Signora cercò di tirarsi immediatamente fuori da quella situazione, ma lui sistemò lo zainetto sulla pancia facendo scivolare la cinghia intorno alle massicce spalle e si rilassò sulla poltroncina, imprigionandola come in un panino, tra quella massa di peli ricciuti e la plastica azzurra. Il volto della Signora sfocò in una massa nera di nuvole piene di saette su un oceano verde-marcio in tempesta, fiamme infernali distruttrici le si accesero dalle caviglie in su, avvolgendola in una furiosa rabbia che non poteva sfogare. Il suo sbigottimento era il livore puro di una dignità ferita a morte.
La compostezza di cui era solita, era stata completamente sovvertita dall’affronto.
“Com’è possibile che mi si calpesti in tal modo? Senza nessuna considerazione, rispetto, come…come se io per lui non esistessi!” l’impalpabile figura nera era rimasta completamente schiacciata dalla mole del giovane, imprigionata sotto di lui, appiattita come una guaina bitumosa, invisibile ed inconsistente. Le voci nella sala si susseguivano, in romanze d’una melodia struggente, ai racconti che Daria inseriva tra un brano cantato ed il prossimo e più l’allegria si diffondeva nel salone, più quella muta guerra tra la signora prigioniera ed il giovane ignaro, acquistava furore. Il tempo scorreva piacevole mentre al microfono le voci di Daria Radu, di Georgiana Ene, si alternavano in una romanza d’epoca, quella di Hina ( deliziosa in russo) in una ballata più antica che le cantava la madre e la commozione pervase tutto il pubblico in un invisibile abbraccio con le artiste, mentre la lotta del sottile Spirito Nero compresso si svolgeva in una muta furia col corpo del giovane volontario del Principato di Seborga. Proprio la bellezza dello spettacolo e l’impossibilità di goderselo, aveva fatto aumentare la furia dell’Anziana Dama che ora, palesemente prigioniera dallo stampo di quel corpo che le era, contro la sua volontà, caduto tra le braccia, si era arresa ad attenderne la fine, mentre riacquistava la calma che le era propria, meditando serenamente, una risolutiva vendetta. Non era quello che avrebbe voluto. Non avrebbe cercato altro lavoro. Il suo ruolo era stato soddisfatto durante il giorno,ma ora, quello che avrebbe dovuto fare, le apparve inevitabile, come la morte!
Proprio verso la fine dello spettacolo sentì la voce di Elena Putina, che per la seconda volta era riuscita ad impadronirsi del microfono, che chiamava il giovane invitandolo ad alzarsi per ricevere un applauso.
“ E’ una persona eccezionale, dal cuore d’oro e senza il suo importante contributo, Seborga non avrebbe potuto portare ai bambini orfani della Moldavia, un regalo ed un sorriso a Natale. Alzati Alessandro Giubergia, fatti vedere.”
Per ben due volte la donna aveva richiesto un applauso ma per tutte e due le volte, il giovane era rimasto spalmato nella sua poltrona azzurra, all’invito aveva risposto come rannicchiandosi ancor di più. Non cercava gloria, voleva svolgere il suo compito senza clamore. Alla Altera Signora, stirata ormai come un fazzoletto sotto quel peso, non era parso vero, non si dava per vinta all’idea che l’unica persona che non volesse un applauso era seduto proprio su di lei. Avesse potuto uscire da quella morsa con quel poco di anticipo che quell’occasione le offriva, forse avrebbe potuto sfogare la sua rabbia senza fare vittime, prima della fine dello spettacolo, ma proprio non fu possibile. Il ritroso ragazzone dal cuor d’oro, rimase incollato al suo destino. Alle 19, dopo quattro ore di interminabile cova, la sua rabbia era al culmine. Quando il corpo del giovane, finalmente si sollevò liberandola, la calma dell’occhio del ciclone stava illuminando una zona dell’oceano piatta e silente come pietrificata, come se quella nera tempesta si stesse gonfiando i polmoni di un tornado gelido che avrebbe spazzato via tutto quello che avrebbe incontrato sulla sua strada. Un tappo di persone occludeva l’uscita, accalcandosi intorno all’artista che firmava dischi ed autografi, ma non le poteva impedire di attraversare la sala in un solo istante, guadagnando l’uscita nel tempo di un respiro. Il giovane fece il giro del salone dalla parte delle poltroncine gialle vuote, poi salutò l’artista proprio mentre anche l’uomo che gli era seduto a fianco, fino ad un istante prima, uno scrittore, stava salutando la cantante, poi si diressero insieme all’uscita. La zona del teatro era isola pedonale, nel percorso verso le auto parcheggiate l’anziano poeta e la moglie, furono superati dal riccioluto Alessandro e un ragazzo alto e smilzo.
“ Buonasera” i due ragazzi salutarono in coro superandoli.
“Buonasera a voi “ rispose lo scrittore “ e…mi raccomando, andate piano”
i due giovani fecero un cenno di assenso con la testa abbozzando un sorriso.
“…come sempre.”
“ Chi sono, li conosci?” chiese la moglie stringendosi sottobraccio al marito “…brrrrrr…che freddo!”
“ No, non li conosco, erano dentro al concerto.” poi con un sorriso ” che mi dici, è una magnifica serata…Hai freddo?” strinse il braccio come a darle maggior calore.
“Non so…No! È che mi è passato come un brivido per la schiena…”
“ E’ il primo giorno di primavera, ormai siamo fuori dall’inverno, domani andrà meglio vedrai.”
Di fianco alla loro auto rossa, era appena andata via la Punto coi due ragazzi. Il ragazzo smilzo accese la radio.
“ Chissà cosa ha fatto la juve?”
“Giocava l’anticipo?” chiese Alessandro.
“Si contro la Roma, se vince va a quattro punti dall’Inter. ” Sul sedile posteriore della Punto, la Signora sembrava rannicchiata in uno sforzo, come a trattenere un urlo di tempesta. Torino all’imbrunire sembrava una signora all’ora del thè, la bella giornata aveva spinto molti dei suoi abitanti ad una gita fuori porta, il traffico lungo i suoi viali alberati era tranquillo, quasi silenzioso. In poco tempo i giovani giunsero alla prima meta.
“Sei a casa” disse dopo un po’ Alessandro al ragazzo, il giovane scese.
“Non sali?”
“No. Ho un’ora di strada prima di essere a casa, preferisco guidare di giorno, al buio non mi piace lo sai.”
“Ciao Ale…grazie.”
“Ciao, ci sentiamo domani.”
La tranquillità di quei due ragazzi la fece ritornare per un momento sui suoi propositi, aveva però, troppo a lungo sofferto l’onta di quel pomeriggio, non le andava proprio di dover soprassedere alla decisione ormai presa,non era una che tornava spesso sui suoi passi lei!
Certo le era capitato qualche volta di avere un ripensamento, di lasciare le cose a metà dell’opera, ma non era stato meglio per il predestinato, anzi spesso era stato peggio, molto peggio e poi, dopo sarebbe dovuta tornare indietro a completarla, non era questa la sua coerenza.
Questa volta sarebbe andata dritta in fondo al suo proposito; non era stato lui a buttarsi tra le sue braccia? Si accorse che l’auto aveva rallentato, erano al casello di uscita dell’autostrada, il riccioluto stava pagando il pedaggio.
“Bravo” si disse come se le rifosse accesa la lampadina, per un secondo una luce nuova le rischiarò il nero volto “ così si deve fare, se uno fa una cosa paga il pedaggio.”
L’auto stava correndo su un rettilineo sgombro, lei si guardò intorno alla ricerca di qualcosa che le servisse allo scopo:nulla! Sulla strada non vedeva mezzi adatti all’uopo.
Poi, un puntino ingombrò l’orizzonte in fondo al rettilineo.
“Aspetta,aspetta, cos’è quel punto luccicante che s’avvicina?”
Una Peugeot 206 bianca stava sopraggiungendo in senso contrario ad alta velocità. Sul tettuccio della carrozzeria il sole, ormai basso all’orizzonte, rifletteva come fosse un fuoco acceso.
“Ecco!” finalmente lasciò andare il fiato trattenuto dentro fino a quell’istante.
Sull’oceano l’occhio del ciclone si dissolse in un secondo, la piatta marea silenziosa fu squarciata senza preavviso da un ruggito delle acque che ribollendo furiosamente si sollevarono contro le nubi nere catturandole e trascinandole in fondo con loro.
Non si distinse più il confino tra cielo e mare.
La bestia inferocita stava sfogando tutta la sua rabbia.
Il creato stesso sembrava sconvolto per sempre.
Un lampo accecante riempì i riccioli di Alessandro di rosso, un boato seguì il fulmine spaventoso che si spense nel fondo del mare in tempesta poi, dopo un attimo che durò come l’eternità, un silenzio di tomba scese sulla strada e sull’oceano.
La Punto distrutta era diventata uno scrigno che rinchiudeva il corpo del giovane senza più vita.
Più in là, nel prato, la Peugeot bianca capovolta conteneva il corpo inanimato di un altro uomo.
La morte aveva preso il suo pedaggio con un largo sovraprezzo.
Altre vittime furono travolte fino a quando il buio non ingoiò nel suo nero la tempesta sul mare. Altre vittime furono travolte fino a quando il buio non ingoiò nel suo nero la tempesta sul mare.
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Proprio quando il soffione esplode in mille pezzetti e sembra morire, il pappo vola lontano a fecondare nuova vita.
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